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Baretti Ottava

Ottave alla Fiorentina, da Giuseppe Baretti, An Account of the Manners and Customs of Italy, London, T. Davies, 1769, vol. 2, p. 175.

Carattere dei Toscani
[traduzione di Matteo Ubezio, da Baretti 2003: 332-335], dalla seconda edizione di An Account of the Manners and Customs of Italy (Baretti 1769: 164-177).

Fra le generali caratteristiche dei Toscani ho già accennato al loro amore per la poesia e al loro diffuso costume, vieppiù singolare, di improvvisare, ossia di cantare dei versi all'improvviso accompagnandosi con la chitarra e con altri strumenti a corde.
Entrambe queste loro qualità sono di antica data anzichenò. I Toscani rimasero stregati dal fascino della poesia a un grado maggiore di qualunque altro popolo tosto che il loro idioma si incominciò a volgere alla poesia. Uno dei nostri antichi novellieri (Franco Sacchetti se ben ricordo) dice che il popolo di Firenze usava abitualmente cantare il poema di Dante in istrada, anche quando era ancora in vita quel poeta, il qual giustamente noi consideriamo il nostro primo scrittore di rilievo. Pare inoltre che le antiche odi, le canzoni e le ballate raccolte dal Lasca e stampate col titolo di Canti Carnascialeschi, furono per la maggior parte composte dal volgaccio di Toscana: cioè da carpentieri, bottai, barbieri, ciabattini e da altre persone di questa classe.
A proposito del loro improvvisare, non sarà facile convincere il mio lettore inglese ch'esso sia cosa da richiedere grandi capacità poetiche, né è possibile darne un'idea appropriata a uno straniero. Tuttavia posso assicurare che è un vero spettacolo e che non può non suscitare grandissima sorpresa sentire due dei loro meglio improvvisatori, et cantare pares et respondere parati [Virgilio, Ecl. VII, 5] e ciascuno smanioso di primeggiare, diffondersi in ottava rima sopra qualunque oggetto moderatamente suscettibile di amplificazione poetica. Parecchie volte sono rimasto sbalordito dalla rapidità della loro espressione, dalla facilità delle loro rime, dalla giustezza dei loro versi, dalla copiosità delle loro immagini e dal generale calore e impetuosità dei loro pensieri, e ho vedute folle di ascoltatori travolti come me in un vortice di entusiasmo, se così posso dire, la cui agitazione cresceva con sempre maggior violenza via via che i bardi più s'infiammavano per le ripetute grida d'incitamento degli spettatori e per la forza di quell'opposizione che ciascuno incontrava nell'antagonista.
Non è facile accertare l'origine di quest'uso fra quelle genti; o, per meglio dire, io ho faticato invano per scoprirla in quei dì quando la poesia italiana prendeva del mio tempo più di quanto non faccia al presente. Bernardo Tasso ha detto che Luigi Pulci (un poeta fiorentino che visse intorno all'anno 1450) usava spesso intonare lunghi canti all'improvviso alla tavola di Lorenzo De' Medici. Si sostiene perfino che Pulci abbia poi messo per iscritto molti di quei canti, su suggerimento e con l'assistenza dello stesso Lorenzo, dell'Argiropulo, del Poliziano, del Giambullari, di Marsilio Ficino e di altri dotti uomini famigliarmente ammessi alla tavola di quel famoso mecenate del sapere; e che a quel modo nacque il Morgante Maggiore, un lungo poema del genere epico, invero incoerente e pieno di bizzarrie, e ciononostante non meno dilettevole dello stesso Furioso.Quella sensibilità di cuore ch ha da lungo tempo così innamorati i Toscani della poesia, ha parimenti cancellata totalmente quella ferocia per la quale essi erano tanto rimarchevoli nei brutali tempi dei Guelfi e dei Ghibellini, e li ha portati ad essere forse la più gentile e amabile nazione oggidì esistente.