“Trattoria nostra” o degli improvvisatori
di Ettore Veo
da Osterie romane, Milano, Ceschina, 1949, pp. 117-124.
Al vicolo del Gallo, tra Campo de’ Fiori e Piazza Farnese, c’è la Trattoria Nostra. Non mia, né vostra, beninteso. Nostra, dicono a buon diritto i nativi si Poggio Cancello, residenti a Roma. È una trattoria, dunque, a forma di cooperativa; pulita quanto mai, ariosa e con un certo gusto, tra specchi, marmi e affreschi, direi artistico. Qui si danno convegno, come ho fatto capire, i nati e gli oriundi del paesello abruzzese il quale, nonostante la sua piccolezza, ha un’infinità di figli sparsi per il mondo. Di Poggio Cancello si dicono anche coloro che sono nati altrove, ma di genitori o di nonni però che lì, a Poggio, aprirono gli occhi alla luce. Ed è commovente, davvero, questa comunione di spiriti fraterni tanto più che compagna desiderata di essi è – indovinate un po’ – la poesia.
Pensavo che i poeti estemporanei fossero già nel ricordo di altri tempi, ma m’ingannavo rotondamente. A disingannarmi, ma a farmi piacere nel tempo istesso, venne un mio amico e poeta che ebbe la cortesia di accompagnarmi una domenica, nel pomeriggio, al vicolo del Gallo per farmi assistere ad una gara poetica all’improvviso; gara che riuscì animata e pittoresca.
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